GAZZETTA DEL SUD. Messina. Prokofiev All Sonatas

GAZZETTA DEL SUD
March 3, 1995

Il pianista russo protagonista di tre serate consecutive

Marshev virtuoso di razza con rilevanti doti di tenuta

MESSINA – È possibile, dopo un programma monografico su Prokofiev, conversare amailmente col publico sulle scarse fortunc di Medtner in rapporto ai contemporarei Rachmanininov e Scriabin, e dopo il bis dedicato a Medtner, snocciolare con assoluta sicurezza lo Studio op.10 n. 1 di Chopin (vale a dire la summa della tecnica deg1i arpeggi)? È possibile mantenere questo genere di freschezza per tre serate conseculive a regalare al pubb1ico persino qualche Studio trascendentale di Liszt?

Tanto è possibile se ci si chiama Oleg Marshev, il pianista russo, autentico virtuoso di razza, che ha eseguito in tre concerti, proposti da1la Filarmonica Laudamo, le nove Sonate per pianoforte di Prokofiev. Bisogna subito premettere che, a parte le rilevanti doti di tenuta, Marshev ha proposto un’Integrale di alto l ivello, considerato che l’impegno implicava prob1emi esegetici almeno pari a quelli strumentali: si consideri che il corpus proposto copre un arco di tempo lunghissimo (1909-1947), quindi non ci si può limitare a univoche dezinizioni di stile, ma bisogna dare adeguato conto di un percorso creativo a lunga gittata evolutiva. Marshev ha ottenuto tutto questo: le esecuzioni hanno palesato lo sforzo di diversificare i vari momenti stilistici, ed alcune hanno ampiamento superato il livello dell’irreeprensibile accademisrno esemplificativo.

Intanto, con.scelta coraggiosamente parziale, Marshev a chiaramente delineato una prevalenza della motrice neoromantica negli esordi del Prokofiev compositore di Sonate. Cosi nelle prime due Sonate eseguite ad apertura del primo concerto, si assisteva al drammatico contrapporsi di due corde di recita, parimenti esasperate: titanismo e tenerezza, slancio eroico ed effusività, virtuosismo aggressivo e cantabilità; ne veniva fuori un Prokofiev nipotino di Liszt, o alter ego di Rachmaninov, cui l’involucro formale serviva come ordito di collegamento tra le rrianifestazioni più scoperte del dualismo assunto come motivo di fondo. Nella Seconda parte scopre una delle “war sonatas”, le tre Sonate tradizionalmente associate agli anni funesti (seconda guerra mondiale) in cui vennero concepite: il primo concerto prevedeva l’esecuzione dell’op, 84,l’ottava Sonata. Si è subito capito che Marshev intendesse dimostrare che qui è proprio tutt’altra cosa, e che i mezzi retorici r omantici dovessero per forza di cosa subire un’attenuazione, in favore di un procedere plù unitario, adeguato a un linguaggio più moderno e scarnificato; anche se l’esecuzione non oltrepassava, a parer nostro, il livell che distingue il “ben fatto” dall'”emozionante”.

Si poteva, perciò, prevedere che le attitudini interpretative di Marshev si esaltassero solo con le prime Sonate: immediata smentita con la”seconda serata, in programma la crepuscolare Sonata n. 9, la dionisiaca terza Sonata e, nella seconda parte, la prima delle “war sonatas”, la sesta. Infatti, se la prima parte sembrava confermare la linea del primo concerto, la drammaticità esasperat.a della sesta Sonata veniva espressa da Marshev con autenttche attitudini da iriterprete; e qui siamo fuori da ogni compromesso neoromantico.

L’ultima serata risultava ancor più esemplificativa (sia su Marshev sia su Prokoflev) non tanto per la pur splendida esecuzione della quarta Sonata, coerentemente collegabile sulla linea delle primi tre, nè per l’esecuzione della celeberrima n.7, nella seconda parte, che, al pari dell’ottava della prirna sera a, rivelava una qual certa riverenza verso la tradizione interpretativa già sedimentata dei capolavori piú noti. Era invece, in apertura, la Sonata n.5, felice opera stilizzante appartenente al periodo europeo di Prokofiev, eseguita da Marshev con un incanto di timbri cagianti, a fissare in maniera chiara il momento dello spartiacque stilistico.

Santi Cala